Paolo Chimeri e l'Arte di fare dell'arte
Remo A. Borzini
"L'arte di fare dell'arte" : una frase che piaceva allo scultore Guido Galletti.
Il quale su quel "fare" - un verbo in evidente sospetto di "manualità" - si soffermava con palese compiacimento, a sottolineare la significanza e l'importanza creativa del "mestiere", matrice artigianale, a lui ben nota, di ogni opera d'arte.
Artigianato, quindi, nel senso più nobile e non certo in quella accezione riduttiva che la parola assunse con la scomparsa delle gloriose Corporazioni medioevali, quando cioè cominciò a trovare spazio e legittimità quel "dilettantismo artistico" che dell'artigianato usurpò la definizione pur restandone il fratellastro.
Storicamente lo strappo coincide con il dopo rivoluzione francese ed ha riflessi non certo ininfluenti sulla nuova visione dell'universo artistico sorretta ormai da "valori puri" indipendenti dal soggetto e quindi avulsi da condizionamenti letterari, didattici, psicologici. Si tratta, ormai dell'impellenza di esteriorizzare la interiorità della crisi emotiva.
Negazione, quindi, della "rappresentazione" del mondo visibile attraversata e spesso appesantita dai parametri di una tradizione ingombrante. E ricerca di un puro ed appagante "lirismo". Che una concezione del genere abbia lasciato il campo libero anche ad esasperazioni e travisamenti e talvolta a sgangherate interpretazioni fino a spingere la libertà locutiva ai limiti del grottesco o di un soggettivismo immotivato, è un altro discorso. Ogni capovolgimento ha il suo prezzo.
Chi come Paolo Chimeri, sia riuscito ad allinearsi al clima artistico ( ed intellettuale) del nostro tempo in virtù di un processo artigianale (parlo sempre di artigianato dal sangue blu) e cioè senza condizionamenti iperculturali, dimostra che l'esperienza artistica (ed umana) può trovare riflessi poetici anche in immagini non convenzionali né accademiche: Dimostra inoltre come anche il "mestiere" (e qui ritorniamo al solito concetto dell'artigianato in arte) riesca a sublimarsi e a divenire esso stesso una componente irrinunciabile del processo artistico quando è la "materia" a trasformarsi in modulazioni estetiche e in concentrazioni spaziali non mutate né suggerite da soggetti tradizionali.
Da questo punto di osservazione gli interventi di Chimeri su metalli pregiati (oro - argento) e su metalli poveri (ferro - bronzo) trovano un certo riscontro - proprio per la loro manualità- con le esperienze di Cerioli e di Burri: E che tali esperienze racchiudano il "gene" della poesia è dimostrato dal superamento coraggioso della suggestione platonica per un lirismo concettuale suggerito dalla forma, a sua volta modellata con gli strumenti della fantasia e della spiritualità.
La scultura di Chimeri non è facilmente definibile: il suo estro evolutivo la sottrae infatti ad una qualsiasi classificazione né fa intravedere altre tangenti.
Io la direi comunque "verginale" perché la sua vocazione ha assorbito e consumato sia i confronti dialettici che i segreti espressivi di precedenti correnti innovative, riservando al nuovo itinerario dell'Artista una spontaneità primigenia. Indenne, come tale, da nostalgie accademiche e da possibili estasi avveniristiche. Una scultura dunque che ha mosso i suoi primi passi su un sentiero tracciato e percorso nel tempo dai "fraveghi" di aristocratica memoria.
Non a caso la prima "statua" (si fa per dire) di Chimeri si ispira a i "motivi" di un prezioso collier e misura, in altezza, poco più di due centimetri.
Vennero poi sculture più complesse (logicamente di ben altre dimensioni) dove l'immagine (palese o evocata) si definisce in aree seppur rigorose contrazioni spaziali che ne delineano la dinamica formale e la presenza volumetrica senza peraltro rinunciare a quell'avvolgimento atmosferico che a una tale scultura sembra essere una costante irrinunciabile e che, a sua volta, si manifesta in un susseguirsi ideali di piani e in un gioco affascinante di luci.
Arriviamo così alle "grandi sculture" e cioè ai monumenti di Voltri e di La Spezia. Proprio perché di monumenti si tratta non avrebbe certo suscitato scandalo una maggiore indulgenza dell'Artista verso una icastica contenutistica giocata sull'incontro (di ellenica memoria) fra etica ed estetica o comunque su una sua plausibile metafora. Ma il Chimeri ancora una volta e più che mai si sottrae ai condizionamenti formali, ai suggerimenti della retorica. Né può considerarsi ereticale un larvato simbolismo che l'Artista riesce comunque a capovolgere: il primo monumento, dedicato ai caduti di tutte le guerre, ci parla della vita più che della morte e lo fa col linguaggio sintetico, aguzzo, di una dinamica essenziale, stilisticamente pura. L'immagine, in una sua declinazione metamorfica, ci libera dagli incubi, recupera i ritmi esistenziali della gente di Liguria, i fermenti magnetici di questa nostra terra avara e generosa ad un tempo.
La seconda scultura, ambientata in uno spazio ben determinato (un istituto di credito) ancor più della prima era soggetta alle tentazioni di una fisionomica per lo meno allusiva.
Ma ancora una volta il Chimeri esorcizza questo rischio affidandosi alla poesia ed alla fantasia. Non si tratta di uno stravolgimento e bensì di un capovolgimento. Il risultato è raggiunto attraverso il "contrario" di una logica che, seppur rovesciata, anzi proprio per questo, non rinuncia ad una immediata persuasione.
La genialità di Chimeri si esprime con una calma-irrequietezza che è difficile, se non impossibile, definire perché non è riconducibile ad archetipi rappresentativi. Non un ideale di armonia, non il fascino romantico né il richiamo alla forma costruttiva o alla pura forma organica spoglia di senso letterario. Non la negazione giacomettiana del volume.
E forse l'interesse che destano le opere di questo Artista proviene anche da quella ambiguità così ricca di implicazioni ch'egli si limita a proporre affinchè siano gli altri ad interpretarle. Non dobbiamo dimenticare che lo stesso Brancusi (chiedo scusa se varco la porta dell'empireo senza bussare!) si limitava a conferire forme esteriori e ben definite a concetti astratti.
Possiamo forse stupirci se Chimeri fa esattamente il contrario, affidandosi alle suggestioni latenti dei suoi enigmi?
Remo A. Borzini